Mi capita spesso di incontrare persone che hanno frequentemente svariati disturbi fisiologici come mal di pancia, mal di testa, troppo o poco sonno. Talvolta tali disturbi possono essere attribuibili ad uno o più fattori organici ma, in assenza di essi, una delle strade che ci porta a comprendere la comparsa ricorrente di una determinata sintomatologia è quella psicologica;ciò non vuole dire che non sia normale avere mal di testa dopo una arrabbiatura, bensì che probabilmente la difficoltà nel gestire-controllare determinate emozioni può portare a riproporre dei “modelli di azione” talora non propriamente adeguati alle situazioni.
Prendiamo come esempio un normale studente universitario sotto esame. Prima di andare in sede di esame potrebbe farsi un’idea negativa o positiva dell’esito, e così vivere questa “previsione” in modo tranquillo e cioè con una leggera ansia oppure, viverla in modo esasperato magari con la convinzione di dover bere litri di caffé per studiare di più, approfittando poi della caffeina per far sparire il mal di testa che per l’ennesima volta si ripresenta. In questo caso il malessere PRECEDE la condizione di stress e se invece il malessere arrivasse DOPO? Potrebbe accadere che lo studente descritto sopra non abbia preso un bel voto o, addirittura, sia stato bocciato per cui l’ansia potrebbe presentarsi sotto forma di insonnia, mancanza di appetito, ecc.
In entrambi casi è stato il corpo a parlare delle emozioni provate dallo studente durante il periodo di esame, poteva evitarlo?
È nella norma essere agitati quando si sa di dover affrontare qualcosa di sconosciuto, come è normale provare rabbia quando qualcosa (lavoro, esame, ecc) non ha l’esito sperato o l’ambiente circostante (comportamento dei nostri colleghi di lavoro, di studio) non ci va a genio. Non è sano però quando queste emozioni arrivano ad essere così forti da sopraffarci. Allora, perché reagiamo con lo stomaco piuttosto che con la testa? Qui diamo spazio a una delle branche della psicologia, la PSICOSOMATICA.
Nella vecchia accezione, di origine esclusivamente psicanalitica (come lo era per Sigmund Freud) , il corpo manifestava malattie o sintomi in qualche misura causati da un conflitto specifico, da un meccanismo di difesa o da resistenze situate per così dire, nella psiche.
Oggi le espressioni dell’organismo, siano esse istologiche, funzionali, emozionali o mentali vanno viste come l’emergere parallelo ed interscambiabile di un segnale e di una condizione globale che parla in vari modi, per così dire, della stessa cosa. A questo livello la capacità di percepire ed essere consapevoli di una conflittualità relazionale, sia essa relativa ad un cibo, ad una persona o a un ambiente, la capacità di elaborarla dal punto di vista emozionale e razionale e la possibilità di reagire istintivamente o di fare una scelta riguardo ad essa sono le premesse per una soluzione che altrimenti viene elaborata a livelli più antichi e meno evoluti, utilizzando schemi coatti a livello emozionale e comportamentale (irritabilità, poco o troppo appetito, apatia, sbalzi di umore ) o manifestazioni ricorrenti o croniche a livello di tessuti e di apparati predisposti a funzioni di riconoscimento, elaborazione e selezione di tipo biologico (ad esempio mal di testa, colite, stipsi, dermatite).
La domanda seguente è: Cosa si può fare per evitare i malesseri fisici, come un semplice mal di testa? La risposta più immediata potrebbe essere: ”prendo un analgesico!”, ma se questo mal di testa fosse ricorrente e se inoltre si presentasse nei momenti in cui bisognerebbe essere concentrati, lucidi o semplicemente nei momenti di pausa nei quali in teoria si avrebbe bisogno di “staccare la spina?”. L’ analgesico è un valido aiuto per bloccare tale disagio, ma non può prevenirlo.
La più valida difesa risiede in NOI STESSI, possiamo aiutare il corpo a mediare ed elaborare le emozioni attraverso semplici esercizi in modo da riuscire per mezzo di essi a prevenire, bloccare, monitorare l’insorgere dei segnali che precedono la sintomatologia, ad esempio la cefalea. LA MIE PROPOSTE SONO:
RILASSAMENTO MUSCOLARE PROGRESSIVO DI EDMUND JACOBSON :È un metodo creato da Edmund Jacobson, il quale ha costruito le basi per la psicofisiologica neuromuscolare. Si tratta di una tecnica basata su semplici esercizi che richiedono la contrazione e il rilassamento di diversi gruppi muscolari per volta. L’apprendimento di tali esercizi con il terapeuta all’inizio e l’allenamento autonomo in seguito permette di localizzare gli stati di tensione, i momenti nei quali insorgono e successivamente di controllarli attraverso il rilassamento del gruppo muscolare in questione. Questa pratica è indicata anche nei bambini, attraverso il gioco mirati possono conoscere e percepire gli effetti benefici del rilassamento.
TRAINING AUTOGENO: È un metodo di autodistensione sperimentato da J.H.Schultz che consente di modificare tensioni sia psichiche che corporee e permette, attraverso il completo di controllo del proprio corpo, di raggiungere un elevato livello di rilassamento psichico e di realizzare spontanee modificazioni del tono muscolare, della funzionalità vascolare, dell’attività respiratoria, cardiaca e degli organi interni. Favorisce il recupero di energie permettendo una migliore gestione delle proprie risorse in tutti gli ambiti dell’attività umana (lavoro, studio, sport..) e può essere praticato in completa autonomia a casa o in qualsiasi altro ambiente dove ci sia tranquillità e ci si possa mettere in una posizione comoda.
DR.SSA JULIANA TAMBURINI
PSICOLOGA